
Il nostro Vescovo Domenico ha consegnato alla Diocesi di Molfetta-Ruvo-Giovinazzo-Terlizzi una mappa articolata per orientarsi nel cammino della fede usando dieci verbi. Non teorie, non programmi, ma parole vive. Parole che evocano movimento, decisione, scelta, stile. Parole che parlano alla testa e al cuore. Con questo articolo, proseguiamo il nostro percorso di approfondimento della sua Lettera Pastorale «Ascolta ciò che lo Spirito dice», esplorando ciò che il Vescovo definisce come «segni di una spiritualità incarnata».
«Ho scelto dieci verbi che racchiudono, per me, lo stile di una Chiesa che vuole camminare con il suo popolo. Sono le parole che mi hanno accompagnato in questi anni e che ora affido a tutti» (p. 24). Questi verbi non sono semplici esortazioni morali. Sono espressioni di una fede concreta, capace di abitare il quotidiano, le relazioni, il servizio. Diventano strumento per la catechesi, la formazione degli operatori, il discernimento comunitario, la verifica spirituale delle attività pastorali. Per altro, ogni comunità parrocchiale potrebbe prenderli come base per incontri formativi, meditazioni nei consigli, percorsi con educatori e catechisti.
Pregare
Il primo verbo è forse il più semplice e allo stesso tempo il più decisivo: pregare.
Il Vescovo scrive che «pregare è aprire il cuore alla voce dello Spirito, è la prima forma di corresponsabilità» (p. 25).
Siamo spesso presi da mille attività, incontri, scadenze. Il rischio è quello di fare tante cose “per Dio” ma dimenticando di farle “con Dio”. Pregare non è un dovere formale, ma la sorgente da cui tutto sgorga. È lì, nel silenzio abitato, che si forma il cuore del discepolo e si radica ogni vera scelta pastorale.
Nel tempo della frenesia, la preghiera ci riporta all’essenziale, ci riconsegna la direzione, ci permette di non agire in base alle urgenze ma alla voce dello Spirito. È, come scrive il Vescovo, la prima forma di corresponsabilità, perché solo se ascolto Dio posso davvero servire gli altri secondo il Vangelo.
Servire nella gioia
Subito dopo, ci viene proposto il verbo servire nella gioia: «Chi serve senza gioia diventa presto un funzionario del sacro» (p. 25). Questa frase, così forte, ci interroga tutti, soprattutto chi è coinvolto in parrocchia, in oratorio, nella catechesi o nella carità. Il servizio cristiano non è mai un “compito da sbrigare” o un “peso da portare”: è una risposta d’amore, un modo per rendere visibile la gioia del Vangelo.
San Paolo ci ricorda che «ciascuno dia secondo quanto ha deciso nel suo cuore, non con tristezza né per forza, perché Dio ama chi dona con gioia» (2Cor 9,7). E allora questa domanda diventa urgente: sto servendo con gioia? Le nostre parrocchie sanno essere luoghi dove chi si impegna viene sostenuto, motivato, ringraziato? O stiamo rischiando anche noi di diventare “funzionari” di una fede che non sorride più?
Accogliere
Il terzo verbo, accogliere, ci porta nel cuore della fraternità evangelica: «Accogliere è riconoscere l’altro come fratello, senza etichette, senza filtri» (p. 26).
Accogliere non è solo “lasciar entrare”, ma fare spazio. Significa dire all’altro: “tu sei atteso, qui c’è un posto per te”. È l’atteggiamento che trasforma una parrocchia in casa, non in club riservato. È la forza del Vangelo che rompe i muri, abbatte le distanze, riconosce la dignità di ogni persona. Gesù ce lo ha ricordato con parole semplici e definitive: «Ero forestiero e mi avete accolto» (Mt 25,35).
Nel tempo della paura e della chiusura, la Chiesa è chiamata a testimoniare l’inclusione, la prossimità, la vicinanza, soprattutto verso chi è fragile, lontano, ferito.
Ascoltare
Infine, il quarto «è l’atteggiamento fondamentale di una Chiesa sinodale»: «Ascoltare è più che sentire: è lasciarsi cambiare» (p. 26). Siamo abituati a parlare tanto, anche nella Chiesa, ma ascoltare veramente è un’altra cosa. È fermarsi, tacere, lasciarsi interrogare, anche mettere in discussione le proprie convinzioni: ascoltare è l’atto più rivoluzionario in un mondo che grida e che spesso non vuole sentire.
Per questo il Vescovo lo collega alla sinodalità: non può esserci vero cammino comune se prima non ci si ascolta profondamente. Ascoltare i giovani, gli anziani, i poveri, gli arrabbiati, gli esclusi. Ascoltare lo Spirito. Ascoltare la realtà, senza filtri. Una vera pastorale dell’ascolto prima di ogni programma.
Quattro verbi, un’unica direzione: la conversione del cuore
Questi primi quattro verbi sono già un programma di vita: pregare con fiducia, servire con gioia, accogliere con libertà, ascoltare con umiltà. Sono le basi di una comunità che vuole essere viva, credibile, attraente, perché radicata nel Vangelo.
Nel prossimo articolo ci soffermeremo sui tre verbi centrali: accompagnare, attendere, avere fiducia. Un invito a camminare con l’altro con lo sguardo e il passo di Dio.
Commenti ( 6 )
Andrea says:
13 Maggio 2025 at 11:52Questo articolo ci restituisce un’immagine affascinante: quella della fede come lingua da imparare. Un vocabolario spirituale non è solo un insieme di parole, ma un alfabeto per leggere la vita, per interpretare la realtà, per dare senso all’esistenza. È bello pensare che ogni cristiano è chiamato a diventare “parola viva”, capace di comunicare Dio con la propria umanità.
Stefano Solombrino says:
13 Maggio 2025 at 18:52Le parole della fede non sono slogan da ripetere, ma esperienze da vivere. Il vocabolario spirituale proposto dalla Lettera ci invita ad andare in profondità: dietro ogni parola si apre un mondo, una storia, un cammino. Riscoprirle significa tornare al cuore del Vangelo.
Filomena says:
14 Maggio 2025 at 12:38In un tempo in cui il linguaggio è spesso impoverito, distorto o manipolato, recuperare la bellezza delle parole spirituali è un atto rivoluzionario. La Chiesa dovrebbe essere il luogo in cui si custodisce un linguaggio che cura, che consola, che apre alla speranza.
Massimiliano Antonelli says:
16 Maggio 2025 at 8:53Pensare alla vita cristiana come un percorso linguistico ci permette anche di rileggere i momenti difficili come occasioni di crescita. Le parole che all’inizio non comprendiamo – come prova, obbedienza, sacrificio – possono rivelare un senso profondo se accolte e meditate nella preghiera e nella comunità.
Roberto says:
16 Maggio 2025 at 10:56Sarebbe interessante proporre, durante l’anno pastorale, dei momenti di catechesi per adulti ispirati proprio a questo vocabolario: una parola al mese da approfondire insieme, con riflessioni, testimonianze, preghiera condivisa.
Marisa Chiapparino says:
17 Maggio 2025 at 8:54La spiritualità cristiana non è fatta di discorsi astratti, ma di parole che prendono carne. Ogni gesto d’amore, ogni scelta coerente, ogni perdono donato diventa una “parola incarnata” che parla di Dio anche a chi non crede.