
Con questo nuovo articolo continuiamo il nostro percorso nella Lettera Pastorale 2024-2025 del nostro Vescovo Domenico, «Ascolta ciò che lo Spirito dice». Nel precedente contributo abbiamo esplorato i primi quattro verbi che il Vescovo ci ha affidato: pregare, servire nella gioia, accogliere e ascoltare. Oggi proseguiamo con altri tre verbi che rivelano il tono del pastore, la delicatezza di una Chiesa che si fa compagna di viaggio, paziente nei tempi, fiduciosa nell’opera silenziosa di Dio. Sono verbi che non si impongono con forza, ma che agiscono nel profondo, come lievito nella pasta (cfr. Mt 13,33).
Accompagnare
Il primo verbo di questa seconda triade è accompagnare. Il Vescovo ci offre una visione tenera, esigente e profondamente umana di questo verbo: «Accompagnare è camminare insieme, rispettando il passo dell’altro, senza giudicare, senza correre troppo avanti, senza spingere da dietro» (p. 27).
Accompagnare è il contrario della frenesia pastorale che impone ritmi e risultati. È, invece, uno stile di prossimità, fatto di ascolto, pazienza e fedeltà. È ciò che Gesù fa con i discepoli di Emmaus: cammina accanto, interroga, ascolta, spiega, rimane («Ed egli disse loro: “Che cosa sono questi discorsi che state facendo fra voi lungo il cammino?”», Lc 24,17).
Nel nostro tempo, accompagnare significa essere presenti nelle fatiche della vita, nelle domande di senso, nelle crisi spirituali. Non si tratta di offrire subito risposte, ma di esserci, di far sentire che nessuno è solo.
Attendere
Il secondo verbo è attendere, parola che sembra poco produttiva, eppure oggi profondamente necessaria. «Attendere è saper dare tempo al tempo, senza forzare i processi. È l’arte di chi sa che ogni seme cresce in silenzio» (p. 27).
Viviamo in una cultura del “tutto e subito”, anche nella pastorale: ma la vita spirituale ha bisogno di tempi lunghi, di gestazione, di rispetto dei cammini personali. Attendere è un atto di fede e rispetto: fidarsi che Dio agisce anche quando noi non vediamo. È la logica del contadino evangelico: «Il regno di Dio è come un uomo che getta il seme sul terreno […] il seme germoglia e cresce, come egli stesso non lo sa» (Mc 4,26-27).
Attendere significa non scoraggiarsi quando le attività sembrano non dare frutti, quando i giovani sembrano distanti, quando una persona non cambia subito. È credere che lo Spirito lavora in profondità, spesso nei modi più impensati.
Avere fiducia
Infine, il terzo verbo, avere fiducia, vuol dire «credere che lo Spirito opera anche quando non vediamo i frutti, anche quando la realtà sembra dirci il contrario» (p. 28). La fiducia è un atto spirituale. È uno sguardo che vede oltre, che sa riconoscere il bene nascosto, che non si lascia schiacciare dalle difficoltà o dai numeri. Fiducia in Dio, prima di tutto, ma anche fiducia nelle persone, nei cammini, nelle intuizioni del popolo di Dio.
Papa Francesco, in Evangelii Gaudium, ha parole forti in proposito: «A volte ci sembra di non aver ottenuto con i nostri sforzi alcun risultato, ma la missione non è un affare o un progetto aziendale, non è neppure un’organizzazione umanitaria, non è uno spettacolo per contare quanta gente vi ha partecipato grazie alla nostra propaganda; è qualcosa di molto più profondo, che sfugge ad ogni misura. Forse il Signore si avvale del nostro impegno per riversare benedizioni in un altro luogo del mondo dove non andremo mai» (Esortazione Apostolica «Evangelii Gaudium», n. 279).
Fidarsi significa lasciarsi sorprendere, non avere la pretesa di “gestire tutto”, ma di camminare con uno sguardo di speranza e di benedizione.
Tre verbi, un cuore solo: la fiducia operosa di chi crede
Questi tre verbi ci parlano di una Chiesa che sa prendersi cura con amore, senza ansia da prestazione, senza voler tutto e subito. È una Chiesa che accompagna senza invadere, che attende senza giudicare, che crede anche nel silenzio.
Sono parole preziose per chi guida, per chi educa, per chi serve, ma anche per ogni fedele che desidera vivere la fede con cuore aperto e paziente. Nel prossimo e ultimo articolo di questa serie, ci soffermeremo sugli ultimi tre verbi: sperare, meravigliarsi, essere grati. Parole che ci aiutano a trasformare lo sguardo e lo stile con cui viviamo ogni giorno, per diventare, insieme, veri testimoni della gioia del Vangelo.
Commenti ( 8 )
Vito Nuzzi says:
15 Maggio 2025 at 8:55Questo articolo riesce a trasmettere con profondità un’idea meravigliosa: il cuore pastorale non è una strategia, ma uno stile di vita, una forma di amore. Accompagnare, attendere, avere fiducia non sono tre azioni da eseguire, ma tre modi di essere, che esprimono la delicatezza e la pazienza di Dio.
Emanuele C says:
16 Maggio 2025 at 10:01In un tempo impaziente e frettoloso, in cui tutto si misura in risultati immediati e performance, questa proposta pastorale è davvero controcorrente. Accompagnare significa rallentare il passo per camminare al ritmo dell’altro, senza giudicarlo né forzarlo. È un gesto di profonda umanità e di grande maturità spirituale.
Fabiola Franco says:
16 Maggio 2025 at 17:44Attendere è forse l’atteggiamento più difficile per chi ha responsabilità educative, catechistiche o pastorali. Eppure, questo verbo ci parla del modo in cui Dio stesso si relaziona con ciascuno: non pretende, ma attende con amore. La pazienza è il volto nascosto della misericordia.
Nico says:
17 Maggio 2025 at 9:57Avere fiducia è un rischio: ci si espone, si lascia spazio alla libertà dell’altro, si rinuncia al controllo. Ma è proprio questa fiducia che permette la crescita vera. Una comunità che si fida è una comunità che fa fiorire talenti, vocazioni, relazioni autentiche.
Gio Zitoli says:
17 Maggio 2025 at 20:02L’articolo mostra che il cuore pastorale non è prerogativa dei sacerdoti: ogni battezzato è chiamato ad avere uno sguardo pastorale, nelle proprie relazioni familiari, amicali, professionali. È una vocazione alla prossimità.
Pina Gorgone says:
20 Maggio 2025 at 10:57Quante ferite potremmo evitare nelle comunità se imparassimo davvero ad accompagnare con delicatezza, senza invadere. Se imparassimo ad attendere senza abbandonare. Se imparassimo ad avere fiducia anche nei silenzi.
Alessandro Sassi says:
20 Maggio 2025 at 21:24Questo stile è profondamente evangelico: è lo stile di Gesù. Il Buon Pastore che conosce le sue pecore, che cammina davanti a loro, che non si scoraggia per le lentezze, che non si scandalizza per le cadute, ma continua a credere nella possibilità di ogni cuore.
Michele says:
23 Maggio 2025 at 11:58Grazie per questa riflessione che andrebbe riletta più volte. È una piccola scuola di umanità evangelica, che ci sfida a essere testimoni non con le parole, ma con l’arte di restare accanto, nel tempo lungo dell’amore che non pretende nulla ma dona tutto.