13

Social media gratification e narcisismo digitale: possono riguardare anche gli evangelizzatori digitali?

parrocchia san bernardino molfetta - evangelizzazione missionari digitali social media gratification narcisismo digitale L’avvento dei social media ha profondamente cambiato il modo in cui comunichiamo e percepiamo noi stessi e gli altri, influenzando inevitabilmente anche la sfera della fede. Spesso – per ingenuità o fiducia – siamo portati a considerare il “web cattolico”, ovvero quella sezione di Internet composta da siti parrocchiali, associativi, informativi e la galassia dei creatori di contenuti a tema religioso, come una sorta di sacrestia protetta dalle distorsioni che la rete ci ha fatto conoscere. Non è purtroppo così. Anche il “web cattolico” è esposto agli stessi rischi del web generalista, che possiamo riassumere in due macro-categorie: i rischi che nascono dalle relazioni virtuali in senso lato (offese, cyberbullismo, fake news, raggiri) e i rischi psicologici “interni”, scaturiti da un rapporto poco sano con la tecnologia in sé.

Oltre alla dipendenza dagli schermi e al rischio di isolamento sociale due sono i fenomeni da cui si deve difendere chi frequenta il “web cattolico” per crescere nella fede o per evangelizzare gli altri con la propria presenza: la “social media gratification” e il narcisismo digitale.

La teoria della gratificazioneUses and Gratifications Theory») aiuta a comprendere perché gli utenti si impegnano attivamente nella selezione, nel consumo e anche nella produzione di contenuti digitali: essi cercano consapevolmente soddisfazione attraverso l’interazione sociale, la ricerca di informazioni, l’intrattenimento e l’autoespressione. Questa gratificazione immediata, rafforzata dai like, dai commenti e dalle condivisioni, provoca il rilascio di dopamina, determinando talvolta una vera e propria dipendenza che influisce notevolmente sui comportamenti online. La rete non è più un ambiente in cui incontrare le persone o un mezzo per raggiungere degli obiettivi, ma diventa una relazione tossica da cui si dipende.

Allo stesso tempo, emerge sempre più il fenomeno del narcisismo digitale, caratterizzato da una comunicazione incentrata fortemente sul sé e dal bisogno costante di approvazione esterna. Jennifer Delgado descrive il narcisismo digitale come una «egocentricità estrema alimentata dall’angoscia esistenziale generata da una società individualistica e competitiva». Spesso gli utenti tendono a mostrare versioni idealizzate della propria persona, ossessionati dalla ricerca di attenzione e riconoscimento, condividendo di sé anche troppo (oversharing) e vivendo stati d’ansia per mantenere alta la visibilità online.

parrocchia san bernardino molfetta - evangelizzazione missionari digitali social media gratification narcisismo digitale Anche chi usa il web per evangelizzare – dal singolo prete che condivide l’omelia della domenica al giornalista affermato – può cadere schiavo in queste dinamiche. La preparazione tecnica non aiuta, anzi, perché il problema in sé è psicologico. Il rischio reale è che la volontà autentica di diffondere il messaggio evangelico si mescoli con motivazioni meno genuine, trasformandosi in una sorta di narcisismo spirituale. In questi casi, l’attenzione rischia di spostarsi dal messaggio cristiano all’immagine personale, dalla missione evangelizzatrice alla ricerca della visibilità personale.

Teologicamente, questo rischio contrasta fortemente con l’umiltà, virtù centrale nella spiritualità cattolica. Sant’Agostino, nella «Città di Dio», avverte chiaramente contro la vanità, definendola «un vento che gonfia senza sostanza». Gesù stesso nel Vangelo ammonisce chi cerca gloria umana invece che gloria divina: «Come potete credere, voi che ricevete gloria gli uni dagli altri e non cercate la gloria che viene da Dio solo?» (Gv 5,44).

I problemi – digitali – del narcisismo e della gratificazione hanno soluzioni esterne al digitale, completamente analogici: l’equilibrio, l’autenticità, la preghiera, il discernimento. Lo si fa con la verifica interna delle proprie motivazioni, meglio se periodica, meglio se affiancata da una sana direzione spirituale, per prevenire l’insorgenza dei fenomeni e per richiamarci all’umiltà quando tendiamo a mettere noi stessi al centro dei nostri post, dei nostri articoli o dei nostri video.

 

a cura di Andrea Canton
Associato e Collaboratore dell’Associazione WebCattolica Italiani*, Giornalista, SM strategist, Health communicator, Digital evangelist

 

* Un particolare ringraziamento al Presidente dell’Associazione Web Cattolici Italiani, dott. Fabio Bolzetta.
L’Associazione WebCattolici Italiani (WeCa), con sede a Roma, in cui la nostra Parrocchia esprime un associato, è un’organizzazione apolitica e senza scopo di lucro che si propone come punto di riferimento per i siti web di ispirazione cattolica. Tra i suoi obiettivi principali ricordiamo:​ offrire l’esperienza dei suoi associati come supporto per le realtà cattoliche online; promuovere la formazione dei webmaster cattolici attraverso iniziative pastorali, educative e culturali, facilitando l’accesso alle nuove tecnologie e favorendo il dialogo all’interno delle strutture ecclesiali; fornire servizi e convenzioni dedicate ai soci per supportare l’attività di chi opera in rete. ​
L’Associazione WeCa punta molto alla formazione, organizzando corsi, webinar e incontri formativi su comunicazione digitale, etica e uso consapevole delle tecnologie. Tra i progetti più noti, la rubrica vi-deo “#TutorialWeCa” e le numerose iniziative in collaborazione con la CEI. Offre, inoltre, supporto concreto a parrocchie, Diocesi, associazioni e singoli comunicatori, valorizzando le competenze digitali al servizio della missione ecclesiale. Infine, costruisce una comunità nazionale di operatori della comunicazione cattolica, favorendo lo scambio di esperienze e buone pratiche, anche attraverso eventi e momenti di spiritualità condivisi.

Commenti ( 13 )

  1. Rispondi
    Domenico De Palo says:

    Questo articolo è davvero prezioso perché tocca un nervo scoperto: anche chi comunica per evangelizzare può cadere nella tentazione di cercare approvazione, like, visibilità. È una dinamica sottile, che può svuotare il contenuto del messaggio. Forse dovremmo ricordarci ogni giorno per chi lo facciamo e a chi vogliamo davvero arrivare.

  2. Rispondi
    Giovanni says:

    La riflessione sul narcisismo digitale mi ha toccato molto. A volte mi capita di rileggere un post che ho scritto con l’intenzione di annunciare il Vangelo e chiedermi: ‘Sto davvero parlando di Gesù… o di me stesso?’ Forse servirebbero più momenti di verifica spirituale, anche in équipe, per rimettere al centro la missione e non l’ego.

  3. Rispondi
    Massimiliano Antonelli says:

    Leggere queste parole mi ha restituito una grande verità: prima di evangelizzare, dobbiamo lasciarci evangelizzare. Anche nel digitale. Solo così possiamo essere credibili. Forse sarebbe bello che ogni equipe di comunicazione avesse un accompagnatore spirituale, per aiutare a custodire il cuore in mezzo ai dati e ai like.

  4. Rispondi
    Giuseppe Scanni says:

    L’articolo ci ricorda che la presenza cristiana sui social dev’essere una testimonianza, non una vetrina. È una sfida quotidiana, soprattutto in un mondo dove l’immagine è tutto. Mi piacerebbe che ci fossero spazi di confronto tra evangelizzatori digitali per raccontare anche le fatiche e le cadute, e sostenersi nella verità.

  5. Rispondi
    Stefano says:

    Questo articolo è un vero esame di coscienza per chi vive la missione anche online. Mi ha fatto riflettere su quanto sia sottile il confine tra annunciare Cristo e cercare conferme per sé. È un rischio reale, che va riconosciuto con umiltà. Mi piacerebbe se si creassero spazi di ‘ritiro digitale’, anche solo online, per fermarsi, pregare e rimettere a fuoco la propria intenzione

  6. Rispondi
    Walter says:

    Molto interessante il legame tra gratificazione e identità: se il mio valore dipende dal numero di cuori ricevuti, anche il messaggio che porto rischia di perdere autenticità. Forse dovremmo imparare a ‘evangelizzare anche nel silenzio’ digitale, quando un contenuto non genera reazioni ma può comunque aver toccato un cuore.

  7. Rispondi
    Giuseppe Ardito says:

    È illuminante pensare che il problema non siano i social, ma il modo in cui li abitiamo. L’articolo offre uno spunto che mi porto via: evangelizzare online richiede una grande maturità umana e spirituale. Magari si potrebbe creare un percorso di formazione specifico sulla dimensione interiore dell’evangelizzatore digitale.

  8. Rispondi
    Mina says:

    Mi riconosco nella tensione tra il desiderio di far conoscere contenuti belli e il rischio di voler ‘piacere’. Questo articolo mi aiuta a fare verità dentro di me. Penso che sarebbe utile, per chi si occupa di comunicazione nella Chiesa, avere un accompagnamento spirituale che tenga conto anche della dimensione digitale della propria vocazione.

  9. Rispondi
    Martora Michele says:

    L’articolo mi ha fatto pensare a quanto sia importante l’umiltà in rete. Non dobbiamo dire tutto, non dobbiamo essere sempre presenti. A volte la vera testimonianza è tacere o lasciare spazio ad altri. Forse, più che influencer, dovremmo sentirci ‘servitori’ digitali, capaci di sparire dietro la bellezza del Vangelo.

  10. Rispondi
    Andrea Ingrassia says:

    Mi ha colpito molto l’idea che l’evangelizzatore digitale rischia di perdere sé stesso se non coltiva la vita interiore. Una provocazione forte: cosa sto alimentando di me mentre cerco di alimentare gli altri? Credo sia urgente creare spazi di preghiera anche per chi si occupa di social nella Chiesa: non solo competenze, ma anche silenzio e discernimento.

  11. Rispondi
    Claudio Minielli says:

    La parte sull’autenticità è centrale. Chi ci legge percepisce se siamo veri oppure no. Quando comunico qualcosa di profondo, a volte mi accorgo che il messaggio arriva anche se non viene condiviso da centinaia di persone. È il segno che la Parola agisce a prescindere dalla performance.

  12. Rispondi
    Antonia says:

    Interessante la domanda finale: che indicatori usiamo per misurare il ‘successo’ della nostra evangelizzazione? Non dovrebbero essere i numeri, ma la fedeltà al messaggio e alla persona di Cristo. Magari si potrebbe proporre un decalogo con piccoli esami di coscienza per chi opera nella comunicazione pastorale.

  13. Rispondi
    Filomena says:

    Spesso pensiamo che più un contenuto viene visualizzato, più abbia valore. Ma il Vangelo non si misura in click. Questo articolo mi ha ricordato che anche una sola persona raggiunta con autenticità è un piccolo miracolo. Forse dovremmo educare le nuove generazioni a non farsi sedurre dall’algoritmo, ma ad affidarsi allo Spirito.

Invia un commento