
Ci sono parole che sembrano appartenere ad altri, ma che, a ben guardare, ci riguardano più di quanto pensiamo: marginalità è una di queste. Siamo abituati ad associarla a storie lontane, a volti ai margini delle cronache, a esistenze invisibili. Eppure, l’emarginazione è spesso più vicina, più sottile, più silenziosa. È il sentirsi fuori posto in un gruppo. È il non trovare spazio o voce in una comunità. È il pensiero di non contare abbastanza.
Ed è da qui che ha preso avvio l’incontro del Gruppo Adulti di Azione Cattolica, tenutosi nei giorni scorsi nella nostra Parrocchia: un appuntamento dedicato a riflettere sul passaggio dalla marginalità alla comunità, un tema che ha toccato nel profondo, non solo per la sua attualità, ma per la verità che porta con sé.
La ferita dell’esclusione e la sfida dell’accoglienza
Parlare di marginalità significa guardare in faccia una realtà che spesso ferisce: quando una persona viene lasciata ai margini – per il suo passato, per la sua fragilità, per un errore, per un pregiudizio, per divertimento – si genera una frattura che, se non curata, può diventare rassegnazione, chiusura, dolore.
Per questo, il gruppo ha riflettuto insieme su una domanda semplice, ma decisiva: come può una comunità cristiana accorgersi di chi è ai margini e diventare luogo di riscatto e accoglienza?
Non si tratta di buoni propositi o di carità episodiche, ma di riconoscere che l’altro ha bisogno di casa, di volto, di mani tese e che noi, come comunità, siamo chiamati a sanare le ferite dell’esclusione, non solo a livello materiale, ma nella dignità, nel riconoscimento, nella partecipazione.
L’icona biblica: una mano tesa che cambia la vita
A guidare la riflessione biblica è stato don Angelo, partendo dal brano tratto dagli Atti degli Apostoli (3,1-10). Il racconto di Pietro e Giovanni che, salendo al tempio, incontrano uno storpio alla porta “Bella” è più che una narrazione antica: è una fotografia potente di ciò che accade ogni volta che qualcuno decide di fermarsi, guardare e tendere la mano.
Don Angelo ha evidenziato che la guarigione non comincia con il miracolo, ma con l’incontro personale, con lo sguardo che riconosce, con la disponibilità a fare un pezzo di strada insieme. Solo così si fa comunità: non per compartimenti stagni, ma attraverso relazioni sane, vere, feconde, che restituiscono all’altro non solo il movimento delle gambe, ma la dignità del cuore.
Una comunità che genera gioia, non solo benessere
Nel cuore del confronto, una domanda ha attraversato le riflessioni dei presenti: come vivevano le prime comunità cristiane? E cosa possiamo imparare da loro?
La risposta è nella semplicità con cui quelle prime Chiese condividevano tutto: il pane, la fede, il tempo, la fatica. Vivevano non solo per “stare insieme“, ma per generare gioia, quella vera, che nasce quando ciascuno si sente parte di qualcosa di più grande di sé.
La comunità cristiana – anche la nostra – deve tornare a essere segno di gioia, di condivisione, di dignità restituita, non solo nel garantire una “felicità” materiale, ma nel nutrire una felicità spirituale che nasce dalla comunione, dalla preghiera, dalla carità e dall’Eucaristia.
I quattro pilastri della comunità: fondamento di ogni cammino
Proprio a partire dall’esperienza della Chiesa delle origini, don Angelo ha indicato quattro pilastri fondamentali su cui costruire una comunità che voglia davvero includere, camminare e annunciare: comunione, come legame reale e non solo dichiarato, preghiera, come respiro comune che unisce le differenze, Eucaristia, come fonte e culmine di ogni relazione vissuta nel Signore, carità, come stile concreto, che si fa attenzione, cura, presenza. Sono pilastri semplici, ma oggi nuovamente rivoluzionari, perché invitano ogni comunità a non dare mai nessuno per scontato, né dentro né fuori.
Un cammino possibile, da vivere ogni giorno
L’incontro si è chiuso con il desiderio – condiviso da tutti – di rendere più visibile e vivibile la comunità cristiana, perché nessuno, varcando la soglia della Parrocchia, debba sentirsi ai margini. È questo il cammino che ci attende: imparare a camminare insieme, a non lasciare indietro nessuno, a riconoscere la bellezza della diversità e la potenza del Vangelo vissuto nella quotidianità.
Una comunità autentica non è quella che non ha margini, ma quella che trasforma i margini in centro, l’esclusione in partecipazione, il bisogno in dono.
Commenti ( 6 )
Samantha says:
21 Maggio 2025 at 15:16La comunità non si improvvisa: si costruisce passo dopo passo, nella fedeltà, nella formazione, nel servizio. Questo post ci ricorda che l’Azione Cattolica è chiamata oggi più che mai ad accompagnare le persone nella crescita della fede e nella testimonianza concreta del Vangelo nella società.
ErikaDB says:
21 Maggio 2025 at 19:15Questo articolo mette a fuoco un tema fondamentale per la vita ecclesiale di oggi: il passaggio dalla percezione di marginalità alla costruzione di autentiche comunità. L’Azione Cattolica, nella sua lunga storia, ha vissuto stagioni di protagonismo e di silenzio. Riscoprirne oggi la vocazione significa restituirle il ruolo di “casa formativa” per laici maturi e corresponsabili.
Alfonso says:
22 Maggio 2025 at 17:28La Chiesa di oggi ha bisogno di laici adulti nella fede, consapevoli, formati, appassionati. L’Azione Cattolica può essere ancora oggi una vera “palestra” per la corresponsabilità. Serve però una nuova stagione di fiducia reciproca tra laici e pastori.
Francesco Valerio says:
22 Maggio 2025 at 19:32È molto bello il riferimento al “cammino da rifare insieme”. Spesso i gruppi associativi si sentono isolati, autoreferenziali o stanchi. Rimettere in circolo il desiderio di camminare insieme, di confrontarsi, di osare strade nuove è già un segno di speranza.
Mariella says:
23 Maggio 2025 at 13:21Grazie per questo articolo che restituisce valore all’AC non come struttura, ma come esperienza di fede vissuta, incarnata, comunitaria. C’è bisogno di laici che non si limitino a “fare”, ma che siano, con il loro stile di vita, segno del Regno che viene.
Giuseppe says:
5 Giugno 2025 at 15:16Non si tratta di recuperare nostalgicamente un ruolo perduto, ma di assumere oggi, con creatività, il compito di tessere legami tra generazioni, tra comunità parrocchiali e territorio, tra fede e cultura. Il contributo dell’Azione Cattolica è fondamentale per una Chiesa che sogna di essere sinodale.